00 04/04/2008 00:51
Incredibile come questo primo scorcio di 2008 ci abbia portato dei grandissimi film (così a naso: INTO THE WILD, NON E' UN PAESE PER VECCHI, LO SCAFANDRO E LA FARFALLA, ONORA IL PADRE E LA MADRE... e film di genere tipo REC). "IL PETROLIERE" rientra di diritto in questa cerchia ormai non così ristretta. A 6 anni di distanza dal suo ultimo lavoro (il delizioso "Ubriaco d'amore") e dopo averci regalato due dei film più belli degli anni '90 ("Boogie nights" e "Magnolia") Paul Thomas Anderson adatta un vecchissimo racconto di Upton Sinclair (caustico scrittore dell'America polverosa e furiosa d'inizio '900) e lo porta sullo schermo chiamando a se uno dei più grandi (e più schivi, liberi, imprevedibili) attori degli ultimi 20 anni (il più grande ?). Daniel Day Lewis (se non sbaglio) non si vedeva su grande schermo dai tempi di "Gangs of New York", e anche lì Scorsese aveva dovuto faticare non poco per convincerlo a lasciare la sua nuova passione (se non sbaglio fa il calzolaio o lavora in cuoio da qualche parte in Europa). Insomma "Il petroliere" è una parabola pura, racconto classico, epopea western (come Western è "Non è un paese per vecchi", per intenderci...), ma non solo. Gli anni più importanti di un magnate del petrolio con piccolo figlio al seguito, che scava dovunque fiuti l'odore dell'oro nero. Un uomo avido, arido, senza scrupoli. Una figura mastodontica, come non se ne vedevano da tempo. Viene in mente il Welles di "Quarto potere" per come il personaggio si staglia sullo sfondo e per come è capace di mangiarsi tutti gli altri personaggi del film. Non racconto nulla della storia, perchè non è ricchissima di avvenimenti, e perciò si prende il suo tempo per esplorarli, farli crescere, affinchè compiano autonomamente il proprio destino. Mi limito a due cose da tenere d'occhio: il rapporto col giovane evangelista Paul Dano fa gelare il sangue per la capacità di passare da un gioco tra gatto e topo (con ruoli più volte invertiti) a un valzer tra maschere grottesche pronte a sbranarsi; la seconda cosa è il rapporto tra il nostro protagonista e il suo bambino (e il loro confronto nella seconda parte vale da solo il prezzo del biglietto). Tutto il resto è la magìa del cinema, una ricerca della perfezione che fa intravedere tra le straordinare sequenze architettate da Anderson lo spirito del più grande dei registi moderni: c'è qualcosa che mi ha fatto venire in mente Kubrick, ma non saprei spiegarla... vedendo questo film ho ritrovato le suggestioni che mi avevano portato "Barry Lyndon", "Shining" e "Arancia meccanica". La geometria degli spazi (tutta la parte finale), le attese che preludono a tragedie immani o a esplosioni inaudite di rabbia, musica classica mischiata ad azzardi sonori (la splendida colonna sonora originale è di Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead) chissà se qualcuno ha provato queste stesse cose... Petrolio, potere, pozzo nero senza fondo... tutti i significati vengono filtrati dagli occhi di Daniel Day-Lewis (oscar incontrovertibile) che giganteggia come pochi oserebbero (o sarebbero in grado di fare). Ora sgranati, ora gonfiati dall'alcool, ora iniettati di sangue ma mai veramente soddisfatti, mai davvero felici, mai che tra i loro riflessi si intraveda la presenza di una donna.

voto: 9,5