00 17/12/2007 18:46
Fughiamo qualsiasi dubbio: "Across the universe" NON è quel capolavoro sbandierato ai quattro venti all'indomani della presentazione alla festa di Roma... Però in compenso è un film che va visto al cinema. Perchè di film così non se ne fanno più da anni. Molti anni.
La storia d'amore tra un ragazzo di Liverpool (!) e una ragazza americana. Lui si chiama Jude (!!) e lei Lucy (!!!) e dalla ricca provincia si trasferiscono nella New York del Greenwich Village di metà anni '60 in una specie di "comune" con personaggi che si chiamano Jo-Jo, Sadie, Prudence, Max e che somigliano decisamente a Janis Joplin, Jimi Hendrix eccc...(!!!!!!!!!) Insomma il gioco di rimandi è così esplicito che si intuisce da sè. Le grandi proteste, l'incubo del Vietnam, le porte della percezione spalancate dalle droghe, la straordinaria impennata di creatività e la magica sensazione di "coesione" che quel periodo emana sono dispiegati a piene mani dalla regista Julie Taymor. Ma la cosa più interessante è che le 33 canzoni dei Beatles che accompagnano l'affresco sono davvero splendide. Uno dice "Vabbè, stai a parlà dei Beatles, mica di Tony Dallara". E in effetti il punto è proprio questo: questa colonna sonora potrebbe sorreggere qualsiasi immagine.
Ma entriamo nello specifico: i brani sono quasi tutti cantati dagli attori stessi (tutti bravissimi) e riarrangiati alla bisogna (quasi sempre da paura... inoltre alcuni brani sono cantati da Bono e Joe Cocker... presenti anche nel film in due camei deliziosi...). La scelta non è caduta necessariamente sui brani più famosi e questo è un altro merito: non è che si debba ascoltare un greatest hits dei Beatles. Ed è qui la cosa più bella del film: anche se l'utilizzo di alcuni brani appare vagamente meccanico, è il suo porsi come una sorta di flusso di coscienza collettivo a stupire. L'introspezione psicologica dei protagonisti, l'incombere delle tensioni sociali e culturali, la relazione con gli ambienti in cui sono calati i personaggi sono tutti descritti dai testi e dall'intensità dei brani. Perciò anche se a volte può sembrare un'operazione un pò cerebrale, spesso invece colpisce nel segno. Il lato visionario poi è figlio diretto di alcune opere degli anni '70 (da "The wall" a "Tommy" a "Hair") , anche se non straborda mai nel kitsch tipico del periodo, perciò a volte anzi, sembra che il lato più fantasy sia tenuto a freno dall'autrice. Rimangono alcune sequenze splendide per la capacità di far viaggiare musica e immagini insieme e alcune coreografie (di Daniel Ezrlalov mica cazzi... - mi sa che ho scritto male il nome -) di notevole impatto. La storia purtroppo segue binari un pò troppo banali e abusati, ma tant'è, alla fine conta lo spettacolo nel suo complesso e dopo 130 minuti si esce dalla sala convinti di NON aver assistito ad un lunghissimo videoclip. Ed è già tanto.

P.s. inoltre appena arrivati a casa avrete l'irrefrenabile voglia di ascoltare a cannone la colonna sonora e di acquistare su ebay l'intera discografia dei Fab Four a prezzo ridotto. Oppure, più semplicemente, vi accontenterete del mulo.

voto: 7