00 02/02/2007 21:27
Non gli avrei dato un euro, eppure il film (scritto, diretto e interpretato da Stallone) ha un suo perchè. E non si vergogna di spiegarlo, di urlarcelo in faccia se necessario. Un film come non se ne vedono da tanto, anacronistico magari, che rischia pure il facile patetismo (e negli insistiti ricordi della defunta Adriana ci cade dentro in pieno) ma che emana un'insolita sincerità da quasi ogni inquadratura. Dimenticate il Rocky coatto e impregnato dell'edonismo reaganiano degli anni '80 (il Rocky imborghesito del secondo capitolo, quello tamarro che sfida Hulk Hogan e Mr. T nel terzo, quello propugnatore dei saldi valori occidentali contro il "rosso" Ivan-ti spiezzo in due-Drago nel quarto capitolo e quello in cerca di rivalsa nel quinto e fino a poco fa ultimo capitolo), questa, a cominciare dal titolo, non è una nuova "puntata" del pugile dall'occhio triste, ma assurge quasi a "manifesto" di un'intera poetica. IL Rocky del 2006 è un cinquantenne gonfio, appesantito, con un figlio "in carriera" alle prese con un cognome ingombrante e un cognato (il grande Burt Young) messo peggio di lui; Un uomo che cerca disperatamente di sentirsi ancora "vivo".
Guardate la locandina in bianco e nero, la scelta di girare quasi tutto con la macchina a mano, le sfocature e le luci livide che permeano l'immagine, la bellissima scena nella cella frigorifera tra un Rocky disperato e un Paulie nel baratro. Due uomini a cui non è rimasto molto e che cercano di sorreggersi a vicenda...
Insomma io lo consiglio, anche se nell'ultima mezzora il film si tinge delle luci di Las Vegas (tutte riprese con macchina da presa digitale, quasi a segnare a livello visivo la patina luccicante e finta contro il degrado della periferia di Philadelphia) e si concentra sulla preparazione e sull'incontro.

voto: 7 +